Interveniamo con una nostra riflessione sulla questione del bando Enpap “Vivere meglio. Promuovere l’accesso alle terapie psicologiche per l’ansia e la depressione”, e del “Manifesto per la psicoterapia”, che le scuole hanno invitato a sottoscrivere come risposta critica.


Al lettore chiediamo un po’ di pazienza e attenzione, con fiducia. 

PREMESSA: IL BANDO ENPAP “VIVERE MEGLIO – PROMUOVERE L’ACCESSO ALLE TERAPIE PSICOLOGICHE PER L’ANSIA E LA DEPRESSIONE”

 Quest’anno l’Enpap decide di dare il via ad una nuova forma di assistenza[1] a favore degli iscritti, che ha il fine di valorizzare la funzione sociale dello psicologo, e che è costituita da borse lavoro che vengono erogate a colleghi beneficiari, che si impegnano a svolgere attività utili alla comunità sulla base di protocolli di intervento basati su evidenze scientifiche. Così, con un bando di aprile 2022, l’Enpap mette in gioco cinque milioni di euro per finanziare mille psicologi con altrettante borse da 5000 euro ciascuna. Il tema dell’anno è facilitare l’accesso dei cittadini meno abbienti alle “terapie psicologiche” per ansia e depressione, “un problema molto sentito in questo periodo di crisi e incertezza”, rivolto a circa dodicimila utenti.

A realizzare questi percorsi di “terapia psicologica” per ansia e depressione sono invitati tutti gli psicologi, psicoterapeuti e non. Il protocollo di intervento, a cui i beneficiari debbono attenersi, è basato su un “Percorso Diagnostico Terapeutico” elaborato dal Centro di Ateneo dei Servizi Clinici Universitari Psicologici (SCUP) dell’Università di Padova, che a sua volta si ispira al progetto di intervento nei servizi sanitari denominato IAPT (Improving Access to Psychological Therapies – incrementare l’accesso alle terapie psicologiche)[2], mutuato dal Regno Unito.

Con “terapia psicologica” il modello IAPT intende “tutte le terapie che utilizzano mezzi psichici per risolvere o ridurre i sintomi e il disagio associati ai disturbi d’ansia e depressivi; l’utilizzo di mezzi psichici comporta il conoscere e il modificare processi e variabili di natura cognitiva, emotiva e relazionale.” [3]

Lo IAPT prevede un modello stepped care, cioè di “gradazione degli interventi a seconda dell’intensità dei bisogni”, che si basa su “massimizzazione dei risultati e minimizzazione dei costi”, in cui si va da interventi “a bassa intensità” (“meno invasivi”), a quelli più “organizzati e contenitivi”, “a seconda della gravità della sintomatologia”.

L’Enpap riserva, nel bando, gli interventi a bassa intensità agli psicologi non psicoterapeuti, mentre quelli a media intensità agli psicologi psicoterapeuti[4].

Per ottenere il servizio di terapia psicologica il cittadino dai sedici anni in su compila un questionario di ventisette domande[5] attraverso le quali (passando per dei “mai”, “alcuni giorni”, “più della metà dei giorni”, “quasi ogni giorno”, e dei “per nulla”, “leggermente”, “abbastanza”, “fortemente”, “moltissimo” circa preoccupazioni, ansie, depressioni, pensieri terribili, appetiti, sonni, irrequietezze, eccetera) orienta Enpap a valutare l’eleggibilità al progetto e ad assegnare le persone ai percorsi di varia intensità (quattrocento pre-assegnati per la bassa intensità, seicento per la media). Una volta accettato, il cittadino si sceglie il professionista su base territoriale e viene sottoposto in presenza ad una sessione psicodiagnostica, di massimo due incontri, realizzata con vari test, tutti self-report[6]. Inizia così un percorso terapeutico di massimo dodici sedute, il cui esito verrà valutato alla fine del programma con strumenti appositi.

I beneficiari delle borse dovranno obbligatoriamente formarsi al Percorso Diagnostico Terapeutico che prevede tre giornate di formazione e tre mezze giornate di supervisione, in gruppi di venticinque-trentacinque partecipanti. In queste giornate gli psicoterapeuti apprenderanno i modelli di psicoterapia CBT e dinamica brevi, i non psicoterapeuti quelli di “consultazione e sostegno ad impostazione relazionale”.

I punteggi più alti vengono riservati a coloro che hanno l’ISEE più basso, con più familiari a carico, sotto i quarant’anni, fino a tre anni di contribuzione Enpap.

 LA RISPOSTA DELLE SCUOLE DI PSICOTERAPIA

 Al bando reagiscono con veemenza le scuole di psicoterapia, che pubblicano un “Manifesto per la psicoterapia”[7]. In esso si sostiene e si argomenta che “terapia psicologica” e “psicoterapia” sono la stessa cosa; che la “cura” dei disturbi mentali pertiene allo psicoterapeuta; che tre giornate di formazione e tre mezze giornate di supervisione sono inconcepibili per trattare un disturbo di ansia o depressivo; che dunque gli psicologi non psicoterapeuti non possono sostenere quel tipo di impegno; che la diagnosi viene effettuata, nel progetto Enpap, sulla base esclusiva di self-report; che la stessa Consensus Conference, e lo stesso modello IAPT, prevedono una formazione ben superiore a quella prevista dal bando; che, in generale, in presenza di psicopatologia lo psicologo non psicoterapeuta debba fare subito un invio allo psicoterapeuta.

 LA RIFLESSIONE DI PSICOLOGIA PER IL FUTURO

 Riguardo al bando Enpap sottolineiamo alcuni punti:

 1) Il bando appare chiaramente clientelare: vengono finanziati giovani psicologi in difficoltà economica, anche senza formazione psicoterapeutica, cercando di indurre così altri numerosi psicologi in analoghe condizioni ad aspirare ad un sostegno economico votando Altrapsicologia, gruppo di maggioranza alla guida dell’Enpap.

2) Sarà interessante vedere i risultati dello screening e delle psicodiagnosi self-report e osservare come basse e medie intensità dei disturbi verranno assegnate. Facciamo sommessamente notare che nessuno avrebbe interesse, tra gli utenti che vogliono accedere gratuitamente a un servizio, a rispondere “a bassa intensità”, che sta “insomma, non malissimo, dai”. Ci si deve attendere da questa operazione di screening e psicodiagnostica una sovrastima dei sintomi e dunque una scarsa affidabilità della diagnosi, perché affermare di avere dei sintomi importanti corrisponde a un aumento della probabilità di avere accesso al trattamento. quindi la selezione del campione è falsata.

3) Il bando segue la scia di quegli studi accademici, non pochi, che durante la pandemia di Covid si sono concentrati a dimostrare che ansia e depressione sono, per dirla con le parole del bando, “un problema molto sentito in questo periodo di crisi e incertezza”. Viene sottolineata nel bando l’adesione alla Consensus Conference, che, sulla base di tali rilevanti risultati di ricerca sui fenomeni sociali post-pandemici, propone al SSN una sua visione per collocare la professione: la terapia individuale (dei sintomi) di ansia e depressione sulla base del modello IAPT. Si enfatizza nel modello l’idea di massimizzazione dei risultati e di riduzione dei costi: il massimo dei risultati con poco tempo, che è un po’ la fantasia che il problema psicologico di una persona sia una dimensione quantificabile di cui, dato il poco tempo a disposizione, se ne tratta solo una parte, ma sufficientemente, abbastanza (“Come ti senti?”, “Un po’ meglio”, “Bene, ci sei andato a lavorare stamattina?”, “Sì, non è che m’andava tanto ma ci sono andato”, “Bene, daje, sufficiente, abbastanza”). Peraltro è un po’ come se i colleghi psicoterapeuti del privato, spesso impegnati in trattamenti psicologici di durata ben più ampia di quella prevista dal bando, pettinassero la bambola che hanno in grembo e degnassero ogni tanto di un’occhiata e di una parola i loro pazienti, minimizzando i risultati e massimizzando i costi.

Ma il progetto IAPT porta Evidenze Scientifiche! si dirà. Quelle evidenze scientifiche di stampo autoreferenziale, diremmo noi, dove il problema è definito dai sintomi (ansia, depressione, che non dicono nulla sulla natura del problema) e da questa definizione si fanno derivare direttamente gli obiettivi che si vogliono raggiungere, cioè la remissione (l’alleviamento per la precisione) dei sintomi stessi in un tempo relativamente breve, cosa che può anche succedere (ma anche no), ma che, come è ovvio, non ci dice nulla su quello che accadrà in futuro a quella persona.

Il bando Enpap porta tutto questo al parossismo: "Non dormi bene? Mangi poco? C’hai l’ansia? Sei agitato? Fai brutti pensieri? Sei depresso? Vuoi morire?”. “Sì, qualche volta, abbastanza”. “Allora c’hai parecchia ansia, sei piuttosto depresso”. Così, con tre giorni di formazione e dodici sedute si prova a far passare, sufficientemente, un po’ di ansia e di depressione, supervisionati in gruppi da venticinque in tre mezze giornate.

La tutela della salute mentale e del benessere psicologico delle persone da parte del SSN è una tematica fondamentale di cui gli psicologi si debbono occupare. Per farlo, però, bisogna adottare un adeguato principio organizzatore del pensiero circa il modo in cui il SSN debba svolgere la propria funzione e relazionarsi con i cittadini. Da una parte è necessaria una visione dell’azione del SSN che sia contestuale, sistemica, comunitaria, ancorata al territorio, e non solo riguardo alla salute mentale ma estesa a tutte le problematiche sanitarie. Dall’altra bisogna smetterla di colludere con l’inadempienza del SSN circa la salute mentale, fatta troppo spesso di poche risorse, idee spicciole e farmaci a tutto spiano. Se si pensa, per le persone non psichiatriche, di sostituire i farmaci con l’alleviamento dei sintomi tramite “mezzi psichici”, si legittima quella stessa cultura difensiva e spersonalizzante che non è in grado di prendersi cura della qualità della vita delle persone. Bisogna uscire dall’inganno che la qualità della vita corrisponda all’assenza di alcuni sintomi e che essa possa essere gestita nella mitologia del breve tempo, come un farmaco tratta un’emicrania circoscritta: questo è profondamente falso. La qualità della vita delle persone è una dimensione storica, complessa e contestuale che richiede tempo e risorse, competenza e pensiero nuovo sui servizi sanitari.

3) Nel bando vengono veicolati una prospettiva formativa e di intervento psicologici che fanno da grancassa a quella che si sta diffondendo da qualche anno e che ci vediamo recapitare via mail ogni giorno: la sottocultura della cialtroneria delle tecniche senza teoria. È la cultura dei corsetti sbrigativi indirizzati ad aspiranti “terapeuti” e “professionisti clinici”, che induce la fantasia di possedere, in tempi brevi e a costi contenuti, qualcosa di concreto, di scientifico, di certo, qualcosa che basta eseguire per avere dei risultati, qualcosa di rassicurante che indichi cosa fare e cosa dire in un ordine prestabilito. Operazioni puramente commerciali fatte con il linguaggio con cui si vende la cianfrusaglia, senza nemmeno conoscere la natura e le implicazioni di ciò che si sta vendendo: “diventa un clinico anche tu ora, il dolore non può attendere, saprai esattamente cosa fare e cosa dire senza perdere tempo. 30 ECM”. È la devastazione del procedere clinico. È la cultura della perversione, che annulla l'identità, il tempo, le differenze, le distanze, l’impegno, il pensiero, le cose fatte per bene, che punta a immaginarsi creati da sé d’un tratto, saltando tutti i processi per avere qualcosa in mano adesso.

4) Ultimo punto, ma davvero critico. La visione proposta da Enpap sul ruolo dello psicologo nei sistemi sociali è di una pochezza impressionante, è una regressione culturale che ci riporta indietro ai tempi dell’istituzione della professione e ai dibattiti unicamente centrati sulla psicoterapia, come se non si fosse capito nulla nel frattempo. Tutti i contesti sono stati pesantemente alterati nel loro funzionamento ordinario dalla pandemia, eppure si pensa all’intervento individuale, il peggiore, quello sui sintomi senza contesto. Non si riesce a pensare alla funzione psicologica all’interno di un dato territorio, in termini sistemici, organizzativi, processuali, che è un contributo distintivo e insostituibile dell’intervento psicologico. Scuola, sanità, servizi, organizzazioni produttive, emergenze pensati a livello di contesti e processi disfunzionali, di sviluppo sociale. Non si potevano proporre lì i colleghi a dare visibilmente una mano nel riassetto post-pandemico? Come si fa a non pensare alla scuola, per dirne solo una, a questo sistema già disastrato, dove i giovani colleghi già lavorano, che aspettava solo il colpo di grazia della pandemia?

 

E veniamo alle scuole di psicoterapia e al “Manifesto”.

Queste, chiamate indirettamente in causa dal bando, rilevano che quel contesto specifico del bando, che Enpap chiama “terapia psicologica”, altro non è che “psicoterapia”, e non la si può fare in quei termini, con quelle competenze e con quella formazione.

Vorremmo però fare, in chiusura, una breve riflessione sul legame tra psicoterapia e psicopatologia, che le scuole indicano come esclusivo della funzione psicoterapeutica.

Pensiamo a dimensioni chiaramente curative svolte dai colleghi non psicoterapeuti, impegnati ad esempio nell’intervento su persone con disturbi mentali gravi come le disabilità intellettive e i disturbi dello spettro autistico, su pazienti psichiatrici, adolescenti borderline, tossicodipendenti, persone con demenze, ecc. Per talune di queste dimensioni la psicoterapia non è nemmeno pensabile, e la funzione psicologica di cura viene svolta attraverso differenti cornici di intervento. La scarsa sottolineatura e comprensione della specifica funzione curativa degli psicologici in determinati settori ha una ricaduta sostanziale sul sistema di reclutamento degli stessi: gli psicologi vengano chiamati e privilegiati in servizi in quanto psicologi, ma definiti spesso “operatori” e pagati come tali. I servizi approfittano di una competenza più utile rispetto a quella di altre professionalità, mentre manca un’azione decisa, razionale, ponderata, lucida nel sostenere il loro ruolo da parte dell’Ordine e di enti come Enpap.

Per questo non troviamo ragionevole la posizione espressa dal “Manifesto” laddove prevede l’invio allo psicoterapeuta in caso di intercettazione di psicopatologia da parte dello psicologo ex art. 1: alcune dimensioni psicopatologiche sono il pane quotidiano per questi colleghi. Paradossalmente gli psicoterapeuti si occupano meno di disturbi mentali gravi di quanto non facciano i colleghi non psicoterapeuti in certi servizi.

Ci sono persone, aggiungiamo, che chiedono aiuto psicoterapeutico anche quando non presentano una chiara, franca psicopatologia: “Dottoressa, ci ho pensato tanto, vorrei fare un percorso terapeutico, ho un nuovo lavoro da sei mesi, un lavoro che cercavo tanto, ma mi sento vuoto, annoiato, e non so perché, e questo mi angoscia”. La maggior parte degli psicoterapeuti, quando gli arriva un paziente, non si mette a fare di corsa diciotto batterie di test per scovare a tutti i costi un disturbo, ma semplicemente ascolta. È il tipo peculiare di domanda, di setting, di incontro e di intervento che definiscono la psicoterapia, non quanta psicopatologia un paziente esprime.

 

Per concludere: invitiamo l’Enpap a spendere meglio i soldi degli iscritti, facendosi venire qualche idea socialmente più impattante, e a proporre una formazione effettiva e utile.

Alle scuole di psicoterapia: sottoscriviamo il Manifesto ma le invitiamo ad inquadrare in maniera più corretta ed equilibrata la funzione curativa degli psicologi ex art. 1. Ma, anche, a dare conto del fatto che la funzione psicologica, volta a promuovere sviluppo in tutti i contesti di convivenza, è cosa più ampia della psicoterapia, e non c’è bisogno di svalutare una professione per affermare che quel modo specifico di stare con le persone, quel contesto caratteristico di incontro e di intervento, è psicoterapia ed è fondato su una formazione distinta, che dura anni, che è normata, che non si impara in altro modo.

I colleghi psicologi, che magari si sono sentiti attratti dai contenuti del bando Enpap, li invitiamo ad avere delle aspirazioni autentiche, a immaginare contesti, a pensarsi professionisti migliori, a essere committenti presso l’Ordine ed enti come Enpap di un’azione politico-professionale degna.



[1] www.enpap.it/news/2022/04/borse-lavoro-un-nuovo-beneficio-di-enpap/

[2] Il modello è mutuato dal Regno Unito, ed è stato accolto all’interno della Consensus Conference sulle terapie per ansia e depressione,. Quest’ultima è un lavoro di gruppo, basato appunto sul metodo della consensus conference, che vede come comitato promotore l’Università di Padova. L’idea è proporre al Servizio Sanitario evidenze sul fatto che alcune (non tutte) “terapie psicologiche” per ansia e depressione funzionano non meno dei farmaci, e che è necessario rimediare alla discriminazione dei soggetti meno abbienti che non possono permettersi di pagare professionisti privati.

[3] A p. 8 del documento della Consensus Conference (www.iss.it/documents/20126/0/Consensus_1_2022_IT.pdf/251561f8-8243-00c5-8c1a-62d1a8dacdf4?t=1643896061884).

[4] Quelli ad alta intensità non vengono trattati se non in termini di invio a strutture idonee.

[5] https://viveremeglio.enpap.it/

[6] Alcuni test sono obbligatori, altri accessori, anche a scelta del professionista. Infine viene somministrato il Questionario per la valutazione del rischio, elaborato dal progetto. Sulla base di tutto ciò si ottiene una diagnosi e si decidono eventuali invii (a psicoterapeuti se il cittadino era stato assegnato a un non psicoterapeuta e il disturbo è a media intensità, o a servizi idonei se è ad alta intensità o non rientra nella cornice ansia-depressione).

[7] www.manifestoperlapsicoterapia.it